venerdì 19 giugno 2015

IL COMUNE DI ROMA E' LA TERZA AZIENDA ITALIANA


Nell'articolo di Rizzo e Stella sul corriere ho appreso che il Comune di Roma, con i suoi oltre 60 mila dipendenti, e' la terza azienda italiana. Ma ho anche appreso che il Comune ha una societa' di assicurazioni; mentre mi saliva l'incazzatura, non finivo di leggere l'articolo senza notare che dal  2000 al 2012 sono state distribuite 94.994 gratifiche economiche ai dipendenti e solo 15 valutazioni negative. A questo proposito, in un altro articolo si dice che per il ministero dell’Economia è illegittimo il salario accessorio versato nell’era Alemanno ai dipendenti e che dunque vi e’ un buco da 350 milioni. 
In mezzo a questo gran casino provo ad aiutarVi a fare chiarezza:
  • E’ assurdo che la terza Azienda Italiana sia il Comune di Roma. Bisogna finirla con la pubblica amministrazione che assume in modo spropositato in nome di un modello clientelare o assistenzialista. Questo sistema non regge piu’;
  • Il Ministero dell’Economia non puo’ svegliarsi 7 anni dopo e dire che le retribuzioni accessorie sono invalide. C’erano dei responsabili (i membri del nucleo di valutazione, lautamente pagati) che dovevano vigilare;
  • Tutti i dirigenti che hanno firmato le determine dando a tutti valutazioni positive andrebbero puniti; altro che egualitarismo, e’ la cultura dei furbetti che si spartiscono la torta dei soldi pubblici, fregandonsene del merito;
  • Marino probabilmente non e’ grado di fare il Sindaco di Roma (pochi lo sarebbero), ma non lo si faccia diventare il capro espiatorio per un rito collettivo di tipo gattopardesco in cui alla fine niente cambia. A Roma, oltre al Sindaco, vanno cambiati (non ruotati) almeno la meta’ dei dirigenti pubblici, certamente onesti, ma corresponsabili di questo disastro;
Il caso di Roma fa riflettere. Stiamo parlando di un’azienda moralmente fallita. Altro che elezioni, qui servirebbe un commissario lungimirante ed incorruttibile per fare pulizia per almeno 5 anni. Ma nessuno ve lo dira’ mai. Perche’ abbiamo paura di cio’ che siamo.


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